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Ha cominciato a fornire accesso a Internet nel 1994, ancor prima di Telecom Italia. Si è quotata in Borsa il 16 marzo 2020, sette giorni dopo l’inizio del lockdown da pandemia. Entro due anni completerà la costruzione di una rete in fibra ottica nel Lazio. Sta per posare un cavo sottomarino nel Tirreno per trasportare dati da Mazara del Vallo a Genova.

Cosa fa Unidata

La storia di Unidata racconta le intuizioni, le sfide e le prospettive di un’azienda italiana di telecomunicazioni che integra le infrastrutture, la vendita di connettività a famiglie e imprese, l’Internet delle cose. Una Tim tascabile. Allargando la prospettiva, però, descrive anche la trasformazione continua di un’industria che è il perno dell’innovazione tecnologica, ma non sempre riesce a ottenere il «giusto compenso» per il suo ruolo fondamentale.

Gli esordi di internet

Tutto ha inizio nel 1985, quando Renato Brunetti avvia con due soci un’attività di assemblaggio di personal computer, con componenti locali e importati. Siamo agli esordi dell’informatica, ai tempi dell’Olivetti, quando l’Italia ha ancora una voce nell’industria mondiale dei pc. Poi, la produzione si sposta a Oriente e, intorno alla metà degli anni ‘90, Unidata compie una prima svolta, diventando uno dei primi Internet Service Providers (Isp) in Italia. La domanda cresce rapidamente e, con essa, i numeri dell’azienda che nel 1999 viene comprata dalla multinazionale inglese Cable&Wireless. «Ci presentarono un’offerta non rifiutabile», ricorda il ceo Brunetti. 

La sortita di C&W

Si rivela un passaggio di breve durata: pochi mesi dopo, infatti, esplode la bolla di Internet. Per il gruppo è un nuovo tornante. Veloce come era entrata, Cable&Wireless esce dal mercato italiano, rivendendo nel 2002 Unidata ai tre soci fondatori. I tre avviano subito un progetto per realizzare una rete proprietaria in fibra ottica nel Lazio che oggi misura oltre 5.450 chilometri. Unidata diviene così a tutti gli effetti un operatore di telecomunicazioni, prendendo a vendere servizi di connettività a famiglie e imprese.

Lo sbarco in Borsa

Avanti veloce e siamo nel marzo 2020. All’apice della crisi pandemica, Unidata approda a Piazza Affari, raccogliendo circa 6 milioni di euro su Egm (ex Aim), il mercato dedicato alle piccole e medie aziende. «Quel giorno Palazzo Mezzanotte era chiuso per via delle misure sanitarie e non abbiamo potuto suonare la campanella», racconta Brunetti. «In pieno panico da Covid-19, la Borsa ha perso il 10% , noi abbiamo chiuso quella seduta con un rialzo del 4%». La pandemia funge del resto da acceleratore della digitalizzazione e, quindi, della domanda di connessioni veloci. La società cresce rapidamente nelle quotazioni, superando i 100 milioni di capitalizzazione. 

Il passaggio sullo Star

Nel 2023, così, arriva il translisting, il passaggio dal mercato Egm allo Star, dedicato alle medie aziende, quale è ormai diventata Unidata che, dopo l’acquisto della lombarda Twt, ha raggiunto un fatturato di 100 milioni, vanta oltre 23 mila clienti, conta oltre 200 dipendenti e copre ormai il territorio nazionale, con sedi operative a Roma, Milano e Bari. E ora? Il gruppo ha diversi piani avviati, in proprio e in collaborazione con altri investitori. Il cavo per big tech

Il cavo per le big tech

Il più vicino alla conclusione è Unitirreno, progetto da 90 milioni con Azimut volto all’installazione di un cavo sottomarino da 900 chilometri per collegare Mazara del Vallo a Genova, passando per Roma e Olbia. «La fase di progettazione e di autorizzazione sono concluse e siamo pronti a partire con la posa per attivare l’infrastruttura fra l’inizio e la metà del 2025», spiega Brunetti. «Seguendo un percorso diretto, Unitirreno garantirà una connessione strategica e molto veloce a clienti come operatori di telecomunicazione e big tech», prosegue. «In Sicilia si collegherà ai cavi provenienti da Nordafrica, Medioriente e Canale di Suez; da Genova si raccorderà al Nord Europa».

La rete Unifiber

Dovrebbero invece concludersi nel 2026 i lavori di costruzione di Unifiber, iniziativa che mira a estendere la copertura in fibra nelle aree meno servite del Lazio ed è realizzata con il supporto di Cebf, fondo sottoscritto da varie istituzioni europee. «Grazie all’esperienza e a una rete di fornitori consolidate, stiamo procedendo spediti, senza incontrare particolari problemi nel reperire materiali e manodopera», rimarca Brunetti. «L’investimento previsto in origine era di 80 milioni, ma potrebbe salire a 100 perché stiamo pensando di allargare il perimetro di intervento».

I progetti per le reti idriche

Nel frattempo, il gruppo è alla ricerca di un sito per realizzare un data center da 57 milioni, sempre in partnership con Azimut. Soprattutto, Unidata sta puntando forte sull’internet delle cose e, in particolare, sui cosiddetti contatori intelligenti per le reti idriche. «L’obiettivo è ridurre gli sprechi», dice. «Secondo l’Istat, nelle reti idriche italiane si perde ancora il 42,4% dell’acqua potabile», prosegue. «Uno sperpero enorme, non solo di acqua, risorse sempre più scarsa, ma anche di energia, considerato quanta ne serve per sollevare l’acqua e distribuirla negli edifici».

I bandi di gara

Le amministrazioni locali se ne stanno rendendo conto e hanno preso a bandire gare per l’installazione di contatori intelligenti. Unidata se ne è aggiudicate diverse: nella città metropolitana di Palermo, a Firenze e Pistoia, a Rieti e comuni limitrofi, nell’intero Molise e, da ultimo, in Basilicata. «Questi contratti hanno fruttato 20 milioni di ricavi nel 2023», calcola Brunetti, «ma prevediamo che il contributo dell’IoT aumenterà significativamente nei prossimi anni».

Il problema Piazza Affari

L’obiettivo di Unidata è insinuarsi nella competizione fra giganti, offrendo un pacchetto di servizi completo e su misura che, oltre alle telecomunicazioni, comprende cloud, intelligenza artificiale e cybersecurity. Settori d’avanguardia, dove non sono da escludere acquisizioni. Con il sostegno della Borsa? «C’è un evidente problema di liquidità sul mercato italiano: noi ce la caviamo meglio di altri, ma la nostra capitalizzazione non rappresenta adeguatamente il valore dell’azienda», conclude Brunetti. «Non c’è da stupirsi se poi le pmi quotate italiane attraggono l’interesse dei fondi di investimento internazionali e lasciano Piazza Affari».

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