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ROMA. In pensione anticipata con 41 anni di contributi a prescindere dall’età ma accettando il ricalcolo del trattamento con il metodo contributivo integrale che può ridurre l’assegno fino al 15 per cento. Il governo torna alla carica sulle pensioni per cercare di smontare la detestata legge Fornero (pensione di vecchiaia a 67 anni più 20 di contributi e di anzianità con 42 di contributi) ed offrire così a migliaia di lavoratori, in via rigorosamente spontanea, l’opportunità di uscire anticipatamente da fabbriche e uffici. È Quota 41, molto cara alla Lega, la chiave della soluzione che, manco a dirlo, è piuttosto complicata a causa delle ristrettezze di bilancio. Una Quota 41 “pura” costerebbe infatti 4 miliardi nel 2025 e 9 miliardi a regime: troppi soldi. Ed è per questa ragione che la maggioranza pensa ad una modifica. Secondo i calcoli del governo, come detto, solo un impianto integralmente contributivo potrebbe reggere finanziariamente. Questo sistema determina l’importo della pensione in base alla quantità di contributi versati, anziché agli ultimi stipendi percepiti come avviene con il sistema retributivo. Con il sistema contributivo, l’assegno pensionistico risulterebbe però notevolmente inferiore. La proposta sarebbe quindi quella di adottare Quota 41, ma coloro che scelgono questa opzione dovrebbero accettare una pensione ridotta.

Quota 41, quanto è ridotta la pensione?

Circa il 15 per cento. Occorre ricordare che attualmente una formula di Quota 41 già c’è ed è riservata a specifiche categorie di lavoratori precoci, coloro che a 19 anni avevano già accumulato 12 mesi di contributi. Ma per accedere alla Quota 41 bisogna soddisfare ulteriori requisiti come appartenere a una delle categorie di lavoratori vulnerabili, che vanno dai disoccupati agli invalidi, passando per caregiver e lavoratori con mansioni gravose.

Inoltre, è richiesto di avere almeno un contributo settimanale versato nel sistema retributivo (prima di gennaio 1996). Coloro che rientrano in queste condizioni possono accedere alla pensione anticipata con soli 41 anni di contributi (invece dei 42 anni e 10 mesi per gli uomini e dei 41 anni e 10 mesi per le donne). Con il meccanismo che il governo sta mettendo a punto la formula del “41” sarebbe estesa a tutti. Al ministero dell’Ecomomia restano comunque prudenti ricordando quanto è stato messo nero su bianco nel Def, laddove si legge che «la spesa per prestazioni sociali in denaro è attesa aumentare del 5,3 per cento nel 2024 e del 2,5 per cento in media all’anno nel triennio 2025-2027, con un aumento della spesa per pensioni del 5,8 per cento nel 2024 e del 2,9 per cento in media nel successivo triennio». Come a dire che, piuttosto che pensare a favorire l’esodo si dovrebbe tentare, piuttosto, di trattenere le persone al lavoro. Infatti il ministro Giancarlo Giorgetti preferirebbe la proroga di Quota 103 (uscita con tagli sugli assegni raggiungendo quella somma di contributi ed età). E questo perché i numeri previdenziali concedono pochi margini in quanto è vero che i pensionati sono tornati a crescere lievemente nel 2023 (tanto che dati Inps indicano una spesa di 248 miliardi in crescita di ben 17 rispetto all’anno precedente) a quota 16,13 milioni ma gli occupati aumentano più rapidamente sfiorando i 23,3 milioni (oltre 400mila in più in un anno) facendo salire il rapporto tra le due grandezze a 1,44. Ma è altrettanto vero che le proiezioni dicono che nel 2050 questo rapporto sarà di un 1 contro 1. Un dato insostenibile per poter garantire il pagamento delle pensioni, soprattutto perché i giovani che entrano oggi nel mercato del lavoro hanno carriere discontinue e salari bassi.


 

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