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Il CNDCEC, in collaborazione con la Fondazione Nazionale dei Commercialisti, ha pubblicato un documento di ricerca sulle variazioni in diminuzione dell’IVA negli istituti disciplinati dal Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII).

La disciplina di cui all’art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che recepisce nel nostro ordinamento la disposizione di cui all’art. 90 della Direttiva 2006/112/CE, è infatti stata più volte oggetto di istanze di interpello, con riguardo sia ai presupposti per la variazione da parte del cedente o prestatore, sia agli effetti che ne derivano per il cessionario o committente.

Il documento approfondisce quindi le problematiche connesse agli intrecci tra “norme fiscali” e “norme concorsuali” ed evidenzia le difficoltà di coordinare due corpi di misure eterogenee.

Con riferimento alla previgente disciplina, nel documento si sottolinea che anche i più recenti documenti di prassi risultano improntati alla tesi che la certezza giuridica del mancato incasso sia imprescindibile presupposto per consentire al creditore falcidiato l’emissione della nota di credito, documento nella prassi da sempre ritenuto, a torto o a ragione, strumentale al recupero dell’imposta attraverso la variazione in diminuzione.

A sopportarne le conseguenze imprese e professionisti creditori, forzati a tempi assai lunghi per poter ottenere il diritto al credito relativo all’imposta non incassata, con tutte le conseguenti penalizzazioni, non solo di natura finanziaria.

A fronte dell’intransigente posizione assunta dall’Agenzia delle entrate, non sono mancate opinioni discordanti, sia in dottrina che in giurisprudenza, per lo più fondate sui principi di diritto UE e sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE.

La Corte ha ripetutamente affermato che, in virtù del principio di neutralità dell’imposta, la base imponibile dell’IVA deve essere costituita dal corrispettivo realmente percepito dal soggetto passivo e l’Amministrazione finanziaria non può riscuotere a titolo di imposta un importo superiore a quello da questi percepito a tale titolo: conseguentemente, quando l’insolvenza del debitore risulta certa, o ragionevolmente certa, la normativa interna di ciascuno Stato deve riconoscere al contribuente il diritto di recuperare la maggiore imposta versata all’erario e non incassata.

Proprio alla giurisprudenza comunitaria, secondo il contributo pubblicato, andrebbe ricondotto il passaggio dal presupposto della “certezza giuridica” a favore della “ragionevole certezza” del mancato pagamento, principio che traspare proprio dall’art. 18 del D.L. 73/2021 (c.d. “Decreto sostegni bis”): tale norma ha infatti introdotto modifiche sostanziali alla disciplina delle variazioni in diminuzione dell’imponibile IVA, disponendo che in caso di mancato pagamento del corrispettivo connesso a procedure concorsuali, non si debba attendere la loro conclusione.

 

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